Sommario del numero 10
Editoriale
L’astronomia nella Cultura di Golasecca
di Adriano Gaspani
Insediamenti dei Celti
di Liam A Silcan
I primi Celti nelle descrizioni degli Autori Classici
di Jean de Galibier
Simbologia Celtica: Il Cigno
Le piante dei Celti: La Betulla
di Giorgio Maria Miramonti
Editoriale
Questa estate la Société d’Histoire Celtique è stata lungamente impegnata nell’organizzazione del terzo Festival Celtique di Aosta che si è svolta nel centro storico di Aosta nei giorni di Venerdì 20, Sabato 21 e Domenica 22 Agosto 1999. La manifestazione ha visto, oltre a una splendida rassegna musicale , anche due affollatissime e applaudite conferenze storico archeologiche di due Soci della SHC: Adriano Gaspani (Oss. Astronomico di Brera) che ha parlato su “Il sole, la Luna e le Stelle nella cultura celtica di Golasecca”, e Renato Del Ponte (studioso di storia delle religioni) che ha sviluppato il tema “I Liguri, la popolazione più antica d’Italia”.
L’impegno organizzativo del Festival Celtique ha assorbito totalmente le possibilità operative della Segreteria, causando qualche ritardo nella uscita della Revue, bilanciandolo però con l’importante successo ottenuto. All’impressionante affluenza di pubblico (La Stampa ha parlato di 10.500 persone per sera) è corrisposta una stupefacente mole di servizi giornalistici su Radio, Stampa e Televisioni.
Ancora una volta la chiave del successo del Festival Celtique è stata la duplice articolazione tra momenti culturali (conferenze storiche e mostre di artigianato d’altissimo profilo internazionale) e momenti ludici (gruppi musicali e di ballo selezionati tra i migliori e più famosi in Nord Europa).
Proprio per questo ampio respiro di qualità internazionale e, pur nella sua brevità di soli tre giorni di durata, alcuni giornalisti hanno paragonato il Festival Celtique di Aosta a quello di Lorient e a quello di Edinburgo, massime espressioni mondiali del settore.
Data la lunghezza degli interventi non ci sarà possibile pubblicare in un unico numero le conferenze presentate dall’SHC al Festival, ma le dovremo suddividere in due puntate. In questo numero Vi proponiamo dunque la prima parte della conferenza del Professor Gaspani su “Golasecca” che sarà conclusa col numero di Dicembre e di seguito pubblicheremo quella del Professor Del Ponte sui “Liguri”. Un secondo articolo ci propone una disanima delle tipologie abitative e dei diversi tipi di insediamento che si presentavano in area celtica nei quattro secoli a cavallo della nascita di Cristo. Ancora una volta ne scaturisce una immagine affascinante e per certi versi contraddittoria che delinea una civiltà raffinata e al tempo stesso semplice e rurale, una filosofia di inserimento e sintonia con la natura coesistente con una radicata tendenza allo stanziamento strutturale che smentisce ancora una volta le mode esoteriche-new age che vorrebbero vedere nei Celti delle copie europee dei pellirosse d’America con tanto di totem e sciamani. Questo numero si concluderà con un intervento di Jean de Galibier su come i Celti sono stati visti e descritti dagli autori “classici” a loro contemporanei.
S.C.
L’Astronomia nella cultura di Golasecca
di Adriano Gaspani
Abstract:
The astronomy in the culture of Golasecca
Conference of the 3rd Festival Celtique in Aosta
by Adriano Gaspani
To reconstruct the history and the culture of the people living in the region of Lombardia just before the roman capture and the Gauls invasion in the 338 B.C., we have to consider all the archaeoligical remains and the historical events.
Actually the archaeologists can’t tell which were the populations living in the plane and in the lakes area in the north of Italy.
The researches reveal the existence of a common culture of the people living in the area of the river Oglio, which is known as “Golasecca Culture”, name that may have originated from the most famous place near Varese, where the first remains of that culture have been found. Looking at a comparison between the tombs and the nemetons and the stars maps dating back to the first millemnium B.C., we see that there were standing stones erected in correspondance to the constellations, well known in those distant ages.
L’astronomie dans la culture de golasecca
Conférence tenue au cours du Festival Celtique de Aosta
de Adriano Gaspani
Pour reconstruire l’histoire et la culture des populations qui habitaient le territoire de la Lombardie avant la conquete romaine et l’invasion des Gauls en 388 avant J.C., il faut prendre note des informations résultat d’une analyse des restes d’archéologie et des sources historiques.
A présent les archéologues ne peuvent pas établir quelles étaient les peuplades qui habitaient la région des lacs et la plaine du nord de l’Italie. A la suite des recherches archéologiques on a pu quand (établir l’existence d’une culture commune des habitants de la région qui s’étendait jusqu’au fleuve Oglio et qui prit le nom de “Culture de Golasecca”, nom d’une des principales localités tout prËs de Varese, où ont été retrouvés des restes. D’une étude sur la position des tombes et des nemetons et des mappes des étoiles de l’an 1000 avant J.C., on peut dire que l’alignement des pierres correspond exactement aux principales constellations, déjà connues dans l’antiquité.
(Conferenza tenuta ad Aosta nel corso del terzo Festival Celtique: Prima Parte)
Per ricostruire la storia e le vicende culturali delle popolazioni che abitavano, prima della conquista romana e prima dell’invasione gallica del 388 a.C., tutto il territorio della Lombardia è possibile rifarsi a due fonti principali. La prima è costituita dall’insieme dei dati raccolti mediante l’analisi dei reperti archeologici e la seconda è rappresentata, in forma più esigua, dalle fonti storiche, i testi redatti dagli autori antichi, soprattutto Greci e Latini. Gli autori classici ci hanno tramandato il nome con cui erano note molte delle popolazioni celtiche con cui i Greci, gli Etruschi e successivamente i Romani vennero a contatto o di cui ebbero notizia. Spesso però i testi classici riportano notizie frammentarie e anche i risultati dell’analisi dei reperti archeologici sono ben lontani dall’essere univoci rendendo quindi particolarmente difficile il lavoro interpretativo e il giungere ad un soddisfacente grado di comprensione e di conoscenza della struttura sociale ed economica delle antiche popolazioni celtiche che vissero sul territorio lombardo precedentemente alle note e documentate invasioni galliche, giunte attraverso i passi alpini, che portarono alla fusione tra i nuovi venuti e le popolazioni preesistenti sul territorio della Lombardia e di parte del Piemonte, nella zona compresa tra i fiumi Serio e il fiume Sesia.
Attualmente gli archeologi non sono in grado di dare una connotazione etnica generale alle popolazioni che abitarono l’area dei laghi lombardi e la pianura tra questi due fiumi. Secondo quanto è possibile desumere dalle fonti scritte, conosciamo solo il nome di singole genti, come gli Orobi, che popolarono il territorio bergamasco e comasco e a cui dobbiamo la fondazione del primo nucleo della parte alta dell’attuale città Bergamo e dell’antico insediamento di Como, i Leponzi stanziati nell’area ticinese della Svizzera, i Laevi e gli Insubri. L’area centro-alpina invece era popolata dagli Euganei, di cui facevano parte, secondo quanto riportato da Plinio il Vecchio, i Camuni, i Trumplini e gli Stoeni, stanziati grosso modo tra il lago di Garda e il Lario, e più a nord, nell’area trentina e altoatesina, le popolazioni Retiche. Prestando fede ai risultati delle indagini archeologiche rileviamo, invece, la presenza di manufatti, di stili ceramici, di tipologie insediative, di riti funerari comuni, regolarmente ricorrenti su tutto il territorio lombardo e svizzero-ticinese. E stato così possibile ammettere, fin dal secolo scorso, l’esistenza di un substrato culturale unico diffuso su tutta l’area lombarda, almeno fino al fiume Oglio, che prese il nome di “Cultura di Golasecca”, da una delle principali località, presso Varese, in cui furono trovati i primi reperti pertinenti a tale cultura. Secondo i risultati dell’indagine archeologica, la Cultura di Golasecca si sviluppò durante la prima età del Ferro nella provincia di Novara, in tutta la Lombardia occidentale e in tutto il Canton Ticino, oltre che nella Val Mesolcina nel cantone dei Grigioni, in territorio svizzero. Anche se tale cultura è presente sul territorio elvetico, dal punto di vista geografico essa si sviluppò partendo dell’Italia e diffondendosi poi oltre l’arco alpino. La Cultura di Golasecca non comprendeva una singola popolazione, ma rileggendo le fonti classiche, rileviamo che un certo numero di popoli stanziati nell’area lombarda sono citati dagli autori antichi con nomi differenti e abitanti località differenti.
Gli autori antichi chiamarono Laevi e Marici, considerandoli però di ceppo Ligure, le genti stanziate nei dintorni di Pavia; denominarono Insubri, gli abitanti di Milano e Como, i quali secondo Tito Livio erano preesistenti alle invasioni galliche del sesto secolo a.C.
A Bergamo erano posti gli Orobi, mentre nelle valli alpine più settentrionali furono posti i Leponzi, nella Val d’Ossola e nell’attuale Canton Ticino, in Svizzera. Le fonti disponibili non sono concordi relativamente alle origini di queste popolazioni, ma i dati archeologici confermano sempre di più la precoce celticità di questi popoli, i quali sembrano rappresentare in assoluto il più antico ceppo celtico tuttora noto. Prove di questa connotazione etnografica sono ad esempio le iscrizioni ritrovate, nell’ambito della cultura di Golasecca, a partire dalla metà del VI secolo a Castelletto Ticino su un manufatto ceramico, a Vergiate presso Varese e a Prestino presso Como, su pietra. E’ interessante rilevare che nei luoghi in cui le iscrizioni furono rinvenute esistono resti di strutture astronomicamente orientate.
(…)
Insediamenti dei Celti
di Liam A. Silcan
Abstract:
Celtic settlements
by Liam A.Silcan
The Celts, the inhabitants of the wild european forests, used to live in small villages or in lonely farm-houses situated in the middle of the field they cultivated in wide and not crowded expanses. Only in case of danger the communities and clans lived together in fortified villages standing on high grounds called “oppida”. In the last years all the studies and inquiries to discover the life in the celtic time led to very interesting results.
Etablissements des celtes
de Liam A. Silcan
Les Celtes, habitants des fôrets de l’Europe, vivaient surtout dans des petits villages ou constructions isolées situées au centre du terrain qu’ils cultivaient, endroit entouré de forets et situé dans une vaste plaine pas très peuplée. Seulement en cas de péril les communautés et les clans se réunissaient dans des villages fortifiés sur des hauteurs appellés “oppida”.
Les études et les recherches pour découvrir la vie des Celtes se sont poursuivies aux cours des années et ont eu des résultats tout à fait intéressants.
Abitanti dei boschi e delle selve incontaminate d’Europa, i Celti vivevano per lo più in piccoli villaggi, o in cascine isolate, che erano dislocati al centro dell’area da essi coltivata, circondati da vaste foreste e distribuiti con scarsa densità su di un territorio molto vasto. Solo in caso di pericolo le comunità e i vari clan di un popolo si riunivano negli “oppida”, villaggi fortificati d’altura.
Gli studi e le ricerche per determinare come fosse la vita degli antichi Celti sono proseguiti senza sosta negli ultimi anni, portando a risultati di profondo interesse.
Il Mondo Celtico dell’Età del Ferro si basava su di un’agricoltura razionale ed efficace, in grado di ottenere una buona produttività, tale da procurare sufficienti eccedenze alimentari per rifornire i villaggi della pianura (vici) e gli agglomerati fortificati (oppida).
In Gallia, all’epoca di Cesare, l’agricoltura dava buoni profitti e il paese era ritenuto molto ricco. Le cascine dell’epoca erano costituite da piccoli insediamenti rurali, composti da alcuni fabbricati, talvolta cintati da una palizzata in tronchi, che raggruppavano poche famiglie probabilmente legate da un vincolo di parentela, con i propri servi. Il paesaggio non doveva essere molto diverso da quello offerto ancora oggi da alcune campagne francesi e inglesi: campi e pascoli delimitati da siepi e cumuli di pietre, che si suddividono in appezzamenti di forma regolare, spesso rettangolare, di un’estensione limitata, pressappoco come la superficie che un aratro poteva lavorare in un giorno.
In una fattoria sperimentale a Little Butser sono state ricostruite alcune abitazioni e magazzini dell’età del Ferro di La Tène, rispettando fedelmente i dati archeologici ottenuti dai vari scavi eseguiti in Gran Bretagna. La capanna principale è costruita su una pianta circolare, con il pavimento parzialmente interrato. Si tratta di una costruzione del diametro di 13 metri e alta 8 al centro, formata da tronchi d’albero scortecciati, lunghi sino a 10 metri, poggiati su un basso muro in pietra. La copertura del tetto è in paglia, le pareti in travi o in cannicciato, con le fessure ricoperte di fango secco.
La maggior parte delle fondamenta di case celtiche, ritrovate nell’Europa centrale, sono parzialmente incassate nel terreno per profondità che vanno da mezzo metro a più di un metro. In esse, alcuni gradini in pietra conducevano all’interno, ove sui lati si allungava una specie di profonda panca che di notte diveniva un letto.
Al centro della casa, in una fossa o in una piccola alcova laterale, era ricavato il focolare che non restava mai spento, essendo al contempo fonte di calore e di luce in quelle abitazioni ove le uniche aperture erano la porta e il foro centrale del tetto da cui usciva il fumo.
Solitamente a pianta rettangolare (Europa Orientale), talvolta ovale o circolare (Gallia occidentale e isole Britanniche), le tipiche capanne celtiche presentavano due pali portanti verticali, eretti lungo l’asse principale della casa a 4-6 metri l’uno dall’altro. Questi dovevano sostenere il trave di colmo principale, su cui veniva costruita tutta la struttura del tetto.
Inizialmente realizzate con le pareti in cannicciato e fango, nell’ultimo periodo di La Tène divennero abituali le pareti in pietra a secco o a palizzata di tronchi, uniti da chiodi o da graffe in ferro, e poi imbiancate a calce.
Nelle zone paludose dell’Irlanda le fattorie rotonde venivano erette su isole artificiali o palafitte dette crannogs (dall’irlandese crann = albero) mentre nelle praterie irlandesi sorgevano un po’ ovunque alcuni caratteristici fortini circolari, con spesse mura in pietra a secco, chiamati raths.
Per vedere come queste case si raggruppassero in cascine, villaggi e paesi, sino a svilupparsi nelle prime città galloromane, possiamo affidarci alle descrizioni degli storici contemporanei. Primo fra tutti Caio Giulio Cesare che, nel De Bello Gallico, ci ha lasciato una ricca descrizione dei “vici” e degli “oppida” formati da agglomerati di semplici abitazioni, la cui struttura a pianta circolare o rettangolare, era fondamentalmente sempre la stessa.
I vici erano piccoli raggruppamenti rurali e villaggi non cinti da mura, composti da case isolate, fabbricate con pietra saldata con argilla, e con tetti in paglia o in assi.
L’oppidum (plurale oppida) era una piazzaforte, a metà fortezza e a metà villaggio, ed era adibito a rifugio temporaneo per la popolazione dei dintorni nei periodi di crisi, e a residenza permanente per quel nucleo di guerrieri e di artigiani che formavano il seguito del Principe. In pratica, l’oppidum era una sorta di recinto fortificato posto sulla sommità di ripide colline o in altri luoghi forti di facile difesa, come la confluenza di due fiumi, promontori su scogliera, limitare di altipiani, ecc. Ogni popolo celtico possedeva, di fatto, diversi di questi oppida.
Da Cesare sappiamo che la sola nazione degli Elvezi si estendeva su 400 vici e una dozzina di oppida. In Francia ne sono stati trovati dagli archeologi già più di 200 ma molti altri attendono ancora di essere scavati.
(De Bello Gallico I° – 5) “Dopo la sua morte, gli Elvezi cercarono ugualmente di realizzare quanto avevano stabilito al fine di abbandonare il proprio paese. Quando ritennero di essere pronti per l’impresa, incendiarono le loro città fortificate, che erano circa dodici, e i villaggi, circa quattrocento, e ogni altro edificio privato, bruciarono tutto il frumento, tranne quello che avevano intenzione di portare con sé.”
(De Bello Gallico VII° – 15) “Approvato con il generale consenso il parere di Vercingetorige, vengono incendiate in un sol giorno più di venti città dei Biturigi. La stessa cosa accade presso le altre nazioni. Si vedono incendi da ogni parte. Sebbene grande fosse la sofferenza di tutti nel compiere queste azioni, trovavano tuttavia conforto nella speranza di recuperare rapidamente quanto avevano perduto, dato che erano ormai quasi certi di vincere. Nell’assemblea generale si delibera se incendiare o difendere Avarico. I Biturigi si gettano ai piedi dei capi delle nazioni galliche e li supplicano di non costringerli ad appiccare il fuoco con le proprie mani alla città forse più bella di tutta la Gallia.”
(…)
Simbologia Celtica
Il Cigno
Il Cigno, insieme al Corvo, è uno degli uccelli che compaiono più spesso nelle leggende celtiche e rappresenta una delle frmeo preferite dagli esseri dell’Altro Mondo quando devono assumere sembianze terrene. Le divinità con sembianze di Cigno sono simboli so-lari e benefici, legati all’acqua e al sole, dotati di poteri risanatori. Uccello immacolato, dal portamento elegante e sinuoso, che anticamente popolava molti dei fiumi europei, il Cigno era considerato dai celti un animale sacro, vera epifania vivente della luce. Uccidere un Cigno per gli antichi Celti era una azione malvagia che attirava senza scampo sventura e morte sui colpevoli.
Nelle leggende, i cigni fatati viaggiano talvolta in coppia, legati tra loro da una catenella d’oro. Per lo più sono le donne del Sidhe ad assumere le sembianze di un bianco cigno (che si differenzia da quelli comuni per una catenella d’oro o d’argento avvolta intorno al lungo collo) per aggirarsi nel mondo terrestre sotto mentite spoglie.
Donne incantate, Melusine, Ondine e Esseri del Sidhe, si bagnavano un tempo nude nei fiumi, mostrando al mondo l’immagine del Cigno, salvo quando capitava che si invaghissero di un giovane mortale cui decidevano di mostrarsi nel loro vero aspetto.
Nelle leggende irlandesi l’identificazione dei cigni con gli esseri fatati del Sidhe è tale che i volatili stessi vengono indicati come “il clan incantato”. In una di queste storie, il semidio celtico Oengus Mac Og si innamorò di una fanciulla-cigno apparsagli in sogno e dopo averla cercata a lungo nel mondo terrestre e nel Mondo dell’Aldilà, quando la trovò, si tramutò egli stesso in cigno per vivere sempre con lei.
(segue a pagina 19)